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XXXII.

Scarco d’una importuna egrave salma
Signore eterno, e dal mondo disciolto,
Qual fragil legno a te stanco mi volto
Dall’ orribil procella in dolce calma.

Le spine, i chiodi, e l’una e l’altra palma,
Col tuo benigno umil lacero volto,
Prometton grazia di pentirsi molto,
E speme di salute alla triste alma.

Non miri con giustizia il divin lume
Mio fallo, o l’oda il tuo sacrato orcecchio,
Nè in quel si volga il braccio tuo severo.

Tuo saegue lavi l’empio mio costume,
E più m’ abbondi, quanto io son più vecchio,
Di pronta aita e di perdono intero.