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XXXIV.
Vivo al peccato, ed a me morto vivo;
Mia vita non è mia, ma del peccato,
Dalla cui fosca nebbia traviato,
Cieco cammino, e son di ragion privo.
Serva mia libertà, per cui fiorivo,
A me s’è fatta: oh infelice stato!
A che miseria, a quanto duol son nato,
Signor, se in tua pietade io non rivivo!
S’io mi rivolgo indietro, e veggio ’l corso
Di tutti gli anni miei pieno di errore,
Non accuso altri che ’l mio ardire insano;
Perchè lentando a’miei desiri il morso,
Il bel sentier che n’adduce al tuo amore,
Lasciai. Porgine or tu tua santa mano.